Dove va la Società del terzo millennio?
Come tende ad evolvere la Democrazia nel mondo occidentale?
Quale sarà il destino della Famiglia?
Esistono delle relazioni tra stabilità familiare e Democrazia?
Sono stati, questi ed altri, gli interrogativi oggetto di dibattito nella conferenza organizzata dal CENTRO DI STUDI E POLITICA “Giuseppe Toniolo”, in collaborazione con l’Istituto di Studi Storici “G. Siotto”, sotto il patrocinio dell’Amministrazione Comunale di Alghero.
Alla Conferenza, i cui lavori sono stati egregiamente condotti dal moderatore Dr. Mario Nieddu, sono intervenuti:
-Il Prof. Giovanni Lobrano (Preside della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Sassari);
–Don Giovanni Marongiu (Sacerdote)
-Il Prof. Sergio Sotgiu (Professore di Filosofia).
Grazie alla diversità di contributi derivante dalle specificità culturali degli autorevoli relatori intervenuti, è stato possibile sviscerare il tema del rapporto Famiglia/Società sotto gli aspetti storico-giuridico, storico-religioso e umanistico-filosofico. La Famiglia, per essere tutelata anche dalle Istituzioni, deve poter essere apprezzata per l’indispensabile ruolo che svolge nella società. Vivere nella concordia è ciò cui aspira una qualunque comunità di persone. La Famiglia svolge in via primaria, nella naturalità dei rapporti che si creano al proprio interno, il compito di educare i propri membri all’aiuto reciproco, all’amore ed al comune accordo.. La cultura e l’esercizio della solidarietà, della sussidiarietà e del Bene Comune trovano, nella Famiglia, il primo terreno di coltura; in essa si forma e si forgia la personalità di ciascuno dei suoi membri e, attraverso di essa, la Società si arricchisce di cellule sociali portatrici di valori umani. La Civiltà dell’Amore che tutti vorremmo, al di là di ogni differenza di credo religioso o meno, ha le basi nella cultura del reciproco rispetto tra le persone; la Famiglia ne è la ‘palestra’ primaria. Sarebbe pensabile un modello di società che volesse fare a meno della Famiglia?
La società occidentale tende ad esaltare ogni forma di soddisfacimento individuale e precario, mentre scoraggia le realtà aggregate e votate alla stabilità (es. Famiglia); tende a divenire sempre più una sommatoria di individui che si ignorano vicendevolmente, limitando i momenti relazionali ai casi di estremo bisogno. C’è da chiedersi se vi sia una precisa regìa dietro il susseguirsi di questi processi, oppure se essi siano l’effetto di una deriva culturale che caratterizza questa nostra società, oramai divenuta ostaggio degli antagonismi economici tra le diverse aree produttive del globo, sempre più attenta alla progressiva accelerazione dei ritmi produttivi e -purtroppo- invece disattenta rispetto alla domanda di significato della Vita. La inevitabile conseguenza è sotto gli occhi di tutti:
-Precarietà del lavoro;
-Sfruttamento dei lavoratori;
-Intensificazione dei movimenti migratori;
-Riduzione delle aspettative di vita per le nuove generazioni;
-Esaltazione della virtualità;
-Crisi della Famiglia, Denatalità;
-Corsa agli armamenti nucleari da parte di Paesi terzi, ecc…
In un tale contesto politico, culturale, economico e sociale, la famiglia pare essere come ‘intrusa’; considerata come un ostacolo a questo modello di società votata ai consumi oltre misura, salvo poi -invece- essere strumentalmente esaltata nelle campagne pubblicitarie mirate alla commercializzazione di prodotti di uso domestico ed affini.
Vi è da chiedersi se, nella società odierna, ci sia o meno lo spazio adeguato per rapportarsi in quella che Pierre Emmanuelle chiama necessità della ’contemplazione’. In ogni persona è connaturata una esigenza spirituale che spesso, però, è tenuta ‘compressa’ da una quotidianità di ‘impegni’ che non concedono un solo attimo di tregua, così da consentire a ciascuno di noi di riflettere su: chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo. Ogni relazione umana non può mancare di attenzione agli aneliti religiosi, filosofici e di democrazia insiti -più o meno profondamente- in ciascuna persona, e se a volte essi non vengono evidenziati, non è perché manchino, ma semplicemente perché una certa cultura liberista e materialistico-collettivista tende a catalogarli come residuali e, in quanto tali, irrilevanti.
Un approfondimento culturale, la Tavola Rotonda su “FAMIGLIA, SOCIETA’ E DEMOCRAZIA”, per aiutare a prendere coscienza di quanto e come possa essere deleterio nella società odierna il dover sottovalutare l’importanza della Famiglia: ne sono evidenti gli stessi riflessi in qualità della vita e in stabilità degli assetti democratici. Di seguito riportiamo una breve sintesi degli interventi dei singoli relatori avvicendatisi nel corso della conferenza. L’interessante dibattito seguitone, è stato l’indice eloquente della importanza ed attualità del tema trattato. I conferenzieri, seppure in differenti modi, hanno implicitamente convenuto che qualunque società umana, senza la famiglia, sarà caotica e priva di un futuro degno di quell’aggettivo.
Tonino Baldino
L’uomo e la donna sono creati ad immagine di Dio, sono una terrena rappresentazione e rappresentanza di Dio ai quali è stata affidata la creazione
L’affidamento del Creato all’uomo ed alla donna è stato il fulcro su cui Don Giovanni Marongiu ha incentrato il proprio interessante intervento nel corso del quale, raccordandosi anche minuziosamente agli autori dei Testi Biblici, ha voluto dimostrare, semmai ve ne fosse stato bisogno, quale e quanto forte sia il radicamento della famiglia nella storia dell’umanità.E’ nella Genesi –ha spiegato il sacerdote- che vengono presentati i due racconti della creazione facenti parte del contesto dei primi 11 capitoli.Questi primi 11 capitoli della Genesi sono scritti in genere letterario cosiddetto “eziologico” (eziologia teologica) nel senso che in questi capitoli viene esposta la causa (aitia) della grandezza e della miseria dell’essere umano.Il primo racconto della creazione è datato dagli specialisti al nono secolo A.C. e appartiene alla cosiddetta tradizione javista [l testo è Genesi 2,18.20.24 (leggere il testo da 2,7.15-24)].L’uomo creato da Dio, a cui Dio consegna tutto il creato, si sente solo.
Il Signore toglie l’uomo dalla solitudine dandogli la donna che è veramente l’aiuto dell’uomo.Questa donna è tratta, presa, dall’uomo per cui è della stessa natura dell’uomo (osso dalle mie ossa e carne dalla mia carne) infatti questa donna si chiamerà isah (tolta da) uoma – tratta dall’uomo.
Il legame che unisce i due sposi è più forte del legame di sangue infatti “l’uomo abbandona il padre e la madre e si unisce alla sua donna e i due diventano una sola carne.” Formano “una sola carne” in senso fisico ma anche morale.Si realizza una unione intima nella comunione di vita, di pensiero, di volontà, di amore. Questa unione (si unirà alla sua donna) già intende escludere il divorzio e la poligamia.In questo evento si realizza un dialogo di amore che presuppone una uguaglianza: l’uomo e la donna sono della stessa natura e pari in dignità.Nel secondo racconto della creazione, che proviene dalla tradizione sacerdotale risalente al secolo VI o al secolo V A.C., (Genesi 1,26-28.31), la forza sta nell’attestazione che l’uomo e la donna sono creati ad immagine di Dio, sono una terrena rappresentazione e rappresentanza di Dio ai quali è stata affidata la creazione.
Questo mandato si concretizza principalmente nel matrimonio che, nell’attuale contesto è apprezzato nell’aspetto della fecondità.Attraverso la benedizione di un amore, di un matrimonio fecondo, l’uomo e la donna partecipano della potenza creatrice di Dio.Questo amore matrimoniale costruisce la successione delle generazioni nelle quali si svolge e si realizza la Storia della Salvezza.La sessualità voluta da Dio, rimarrà buona se il modo con cui la si esercita rimane fedele alle intenzioni del Creatore, se resta fedele al matrimonio.Questo primo matrimonio voluto da Dio si propone come il prototipo di ogni vita coniugale.Questo è l’ideale divino dell’istituzione del matrimonio-famiglia prima che il peccato iniettasse il germe della corruzione nella storia umana.
La poligamia è praticata dai Re, a volte per amore (2Sam 11,2 ssg) e a volte per interesse politico (1Re 3,1); ma, parallelamente a questa concezione del matrimonio in palese difformità da quello che era l’ideale originario, inizia a farsi strada l’aspirazione al matrimonio monogamico indicato in Gen 1-2.Per affermare tutto questo i profeti utilizzano proprio l’immagine dell’alleanza dell’uomo e della donna cioè del matrimonio, dell’amore umano, portando la realtà del matrimonio ad una dignità e altezza ideale impensabili per la cultura di quei tempi.L’Alleanza tra Dio ed il popolo, promuove una immagine nuova che si proietta e si incarna nella famiglia.
Per quanto riguarda il divorzio, tutti ricorderanno la famosa diatriba tra Gesù e i farisei riportata dal testo di Mt 19,3-9: “è lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?” Gesù prende le mosse per una riflessione sulla realtà del matrimonio sganciandolo dalla soggezione alla Legge come a dire che sottrae il matrimonio, con la problematica inerente la pratica del divorzio, lo sottrae all’ordine della natura e lo riporta all’ordine della creazione. Creazione è quella categoria primitiva di un modo giudaico-cristiano di intendere il mondo, di comprenderlo in un contesto di fede.La posizione assunta da Gesù appare agli stessi discepoli di una rigorosità inaudita e Gesù stesso non la considera assolutamente ovvia perché le sue affermazioni vanno considerate in ordine alla creazione cioè in una visione “teologica”, di fede che non si identifica con l’ordine naturaleIn questo itinerario biblico, non si può non evocare la prospettiva teologica di Paolo. In San Paolo vi è la massima valorizzazione del matrimonio, dell’amore umano tra un uomo e una donna battezzati che diventano un riflesso, un’immagine, del rapporto di Gesù Cristo con la sua Chiesa.La relazione marito-moglie è colta da Paolo in senso cristologico, connessa alla relazione che intercorre tra Cristo e la Chiesa; ma cosa dice Paolo ai mariti?
E’ sorprendente una espressione, per quei tempi, per quel contesto culturale pagano, a dir poco inaudita “mariti amate le vostre mogli”.L’amare del cristiano, l’amare del marito cristiano in relazione alla moglie riflette l’amare di Gesù Cristo.Amare per Gesù Cristo significa dare la vita. Nel matrimonio, il marito che ama è un marito dà la vita per la moglie.
La concezione democratico-societaria del popolo postula che esso sia organizzato per famiglie: popolo non come somma di individui ma come sintesi di solidarietà.
E’ questo, in sintesi strettissima, il nocciolo dell’intervento del Prof. Vanni Lobrano (Facoltà di Giurisprudenza di Sassari).
Il popolo è un insieme, una molteplicità di persone, che devono poter operare come unità. Quale il modo affinché l’attività di una molteplicità di persone venga concepita e gestita in maniera unitaria?
Questo problema, che è un problema giuridico complesso e fondamentale (si tratta di disciplinare le relazioni non tra individui, ma tra gruppi di individui), ha trovato –nella storia che noi conosciamo– soltanto due soluzioni: il modello rappresentativo-parlamentare e il modello societario-democratico.
Il modello rappresentativo-parlamentare è basato sulla riduzione della pluralità dell’insieme delle persone fisiche alla unità per il mezzo della “finzione” che tale insieme sia una sola “persona giuridica”, la quale opera per mezzo di una (o qualche) persona fisica, che la “rappresenta”. Secondo questo modello (derivato dall’invenzione medievale [13° secolo] della persona giuridica [persona ficta vel repraesentata] e poi sviluppato nell’ambito della esperienza parlamentare inglese) la gestione unitaria degli interessi del complesso dei singoli individui viene affidata totalmente ad uno o ad alcuni “rappresentanti”, cui viene “delegato” il potere decisionale – di comando. E’ la soluzione oggi applicata nel mondo cosiddetto occidentale e che il mondo cosiddetto occidentale tenta di esportare nel resto del mondo, con le buone o le cattive maniere.
Il modello societario-democratico è basato sulla invenzione del contratto di società, secondo cui soltanto i soci possono- e tutti i soci devono decidere gli obiettivi unitari della società di cui sono membri, per affidare, quindi, la “esecuzione” particolare delle proprie decisioni generali a uno o alcuni amministratori. E’ la soluzione “antica” mediterranea, la quale costituisce la innovativa sintesi giuridica romana della esperienza politica greca e della esperienza religiosa giudaica-cristiana. Nel meccanismo della collettività – persona giuridica, il potere di decidere è dei rappresentanti, i quali hanno la delega a stabilire quali siano gli interessi della collettività e i modi per perseguirli. Ciò comporta che ciascuna di queste persone, anche se membro della collettività, resta un “individuo”, il cui unico compito è definire e perseguire il proprio interesse privato: non obiettivi comuni. E’ ciò che accade nel nostro Stato italiano ma anche (anzi ancora più e peggio) nella nostra Regione.Nel meccanismo della società, il potere di decidere è di tutti i consociati. Il contratto di società trasforma degli individui in un complesso unitario di soci e “obbliga” ciascuno dei soci e tutti i soci a definire e perseguire l’interesse collettivo, attraverso il quale conseguire anche il proprio interesse individuale.
La Rivoluzione Francese, nel ‘700, ha rappresentato il momento del massimo dibattito e scontro tra queste due forme di organizzazione pubblica, due “forme di Stato”. E’ prevalso il modello rappresentativo, cioè il modello ‘borghese’. Uno dei grandi teorici di questo modello sarà Adam Smith. Poiché non è assolutamente credibile che la discrezionalità di uno o pochi possa fare il bene di tutti, Adam Smith ci assicura che a questo provvederà la “mano invisibile” del “mercato”, a sua volta animato dall’egoismo individuale e dalla competizione di tutti contro tutti.
Come è evidente, il modello rappresentativo è necessariamente anti-democratico mentre il modello societario è necessariamente democratico.Tra democrazia e società corre un rapporto storico e dogmatico molto interessante. La democrazia non è qualcosa che si trova in natura; è una ‘scoperta’ del pensiero umano; più precisamente, è una ‘scoperta’ che appartiene al mondo greco. Democrazia è un’idea in qualche modo ‘folle’, come sono folli le idee geniali: è la idea secondo cui un popolo (il demos) può fare a meno di un capo; anzi, dal momento che il capo non serve al popolo, il ‘capo’ è –per definizione– il nemico del popolo. Il popolo, per avere potere su se medesimo, deve dunque eliminare il capo.
Democrazia è però anche una idea straordinaria, che, una volta apparsa all’umanità, non potrà più essere cancellata, perché risponde alla esigenza della libertà. Con la democrazia ciascun uomo recupera la propria dignità di uomo libero e si libera il grande potenziale di intelligenza e di volontà racchiuso nella mente e nel cuore di ciascuno e di tutti gli uomini. E’ come la scoperta della energia atomica: una volta fatta la umanità non potrà più dimenticarsi del suo potenziale. E, come è accaduto per la energia atomica, il grande problema della democrazia è la sua gestione. i Greci, non arrivano a disciplinare totalmente questa energia enorme, da essi stessi evocata e liberata e finiranno con il ritirarsene impauriti. Chi riuscirà nella impresa di incanalare l’energia democratica all’‘uso civile’ saranno i Romani, per mezzo della scienza giuridica, con la quale producono una invenzione ulteriore: la Repubblica. La Repubblica è quel sistema giuridico che ha come nucleo essenziale la democrazia, cioè la propria appartenenza al popolo in forma necessaria: «la repubblica è la cosa del popolo» [res publica id est res populi] dice lapidariamente il console, avvocato e sacerdote (augure) Cicerone. La Repubblica si contrappone, pertanto, sia storicamente sia dogmaticamente alla Monarchia.
I Romani sanno che la convivenza di monarca e di popolo non è possibile: o l’uno o l’altro. Essi individuano una relazione di opposizione mortale tra il potere dell’Uno (proprio della Monarchia) ed il potere dei Molti (proprio della Repubblica). Il passaggio dalla scoperta (‘semplice’ ancorché geniale) della democrazia alla invenzione della ‘macchina’ Repubblica, capace di incanalarne la energia esplosiva, avviene precisamente attraverso la ‘messa a punto’ dell’istituto societario. La società è il contributo innovativo che consente al pensiero giuridico romano fare funzionare un sistema democratico. Ora, proprio nel pensiero di Cicerone (il massimo specialista della Repubblica, l’autore del famosissimo trattato La Repubblica) non soltanto il popolo è una società, ma il nucleo essenziale della società pubblica è la famiglia: «la prima società è nel matrimonio stesso, quindi con i figli, nella unica casa dove ogni cosa è in comune; questo è il principio della Città e il seminario della Repubblica» [prima societas in ipso coniugio est, proxima in liberis, deinde una domus, communia omnia; id autem est principium urbis et quasi seminarium rei publicae]. In Cicerone, tutta la umanità è concepita –almeno tendenzialmente– come una grande società, cui si può pervenire attraverso una serie di società via via più ampie (i Romani parlano di «cittadinanza crescente» [civitas augescens]: le società familiari alla base e all’interno della società pubblica, le società pubbliche (i popoli) alla base e all’interno della società di tutte le genti (la umanità).
La concezione democratico-societaria del popolo postula che il popolo sia organizzato per famiglie in quanto la famiglia è, per natura, il luogo della solidarietà: tra sposi e tra generazioni. Nel popolo tutti sono uguali, tutti sono ‘cives’; ma i cives sono caratterizzati dallo status familiae, ogni civis è padre o madre, figlio o figlia: «dei cittadini romani alcuni sono padri di famiglia, altri sono figli di famiglia, alcune madri di famiglia altre figlie di famiglia» (Nam civium romanorum quidam sunt patres familiarum, alii filii familiarum, quaedam matres familiarum, quaedam filiae familiarum [Ulpiano, Digesto]). La regola della solidarietà “non fa salti”, o inizia con la famiglia o non inizia affatto. Dionigi di Alicarnasso (autore greco che visse a Roma e ne scrisse la storia) si impegna a spiegare ai propri compatrioti la specificità della organizzazione repubblicana romana, rimarcandone proprio la specificità del rapporto con la famiglia. Dionigi di Alicarnasso osserva che a Roma non c’è una “separazione” tra familiare e pubblico, c’è la “distinzione” ovviamente, ma le due entità non sono reciprocamente indifferenti. Il potere familiare incide sul potere pubblico: sia il semplice cittadino sia il magistrato si comporta secondo la educazione che riceve nella famiglia. Il potere pubblico si preoccupa della famiglia e della gestione del potere nella famiglia. Il legame essenziale tra società familiare e società pubblica, sperimentato e teorizzato presso la Repubblica romana, viene ‘coltivato’ anche da pensatori più recenti; autori basilari del pensiero politico-giuridico democratico moderno e contemporaneo. Ne cito due.Johannes Althusius (’500-’600), giurista tedesco, il più grande teorico del federalismo (descritto nella sua Politica methodice digesta), costruisce una idea di Impero (tendenzialmente) universale, basata sulla idea di “consociazione”. Il nucleo fondamentale è la “consociatio” familiare, sulla quale si innestano le “consociationes” pubbliche, che sono le Città, le Province e –infine– l’Impero.Jean-Jacques Rousseau (’700) pensa e scrive il Contratto sociale, proprio perché crede alla democrazia come potere del popolo non sciolto in individui ma organizzato (anche secondo lui) per famiglie, attraverso le quali si esprime una concezione solidale dello “Stato”. Nella epoca contemporanea, delle due soluzioni, per risolvere il problema giuridico complesso e fondamentale di consentire la esistenza e il funzionamento di gruppi umani, ha prevalso non la soluzione solidale della partecipazione ma quella egoistica della delega. In questa soluzione, fondata (vedi Adam Smith) sull’egoismo, non c’è spazio per la famiglia così come non c’è spazio per la democrazia e ciò spiega l’attacco odierno alla famiglia in nome della “libertà individuale”.Lo ‘slogan’ accattivante è: «ognuno sia libero di seguire le proprie inclinazioni individuali e si dedichi a perseguire i propri interessi individuali». La nostra fatica deve essere ricordarci e ricordare che il seguito di quello ‘slogan’ suona così: «tanto, a governare lo Stato e/o la Regione ci pensa qualche “governatore”».
L’uomo deve uscire dalle sabbie mobili del nichilismo contemporaneo!
Credere nel niente ovvero negare l’esistenza di un Essere superiore quale origine di tutte le cose; negare il valore della Vita, della Famiglia, della Comunità, del rispetto e dell’amore per l’altra persona con il proposito di voler dominare gli altri ed il creato, è atteggiamento di sfida dell’uomo contro l’ordine naturale precostituito. Un atto di superbia che, come bene è evidenziato nei testi biblici, si è sempre rivelato controproducente per l’uomo medesimo. L’individualismo sfrenato è il detonatore di ogni minimo conflitto sociale, conduce all’esercizio del dominio sugli altri propri simili, mortifica la dignità dell’uomo, lo riduce alla stregua di un oggetto e lo priva della sua componente autenticamente umana; è l’uomo che diviene disumano: i campi di sterminio del periodo nazista sono la tragica dimostrazione di quale e quanta barbarie sarebbe capace chiunque -non timorato di Dio- fosse ostaggio della esaltazione di se stesso. Il Prof. Sergio Sotgiu (Università di Sassari) non poteva mancare, in virtù del suo ricco profilo umano e culturale, di caratterizzare il proprio intervento su “FAMIGLIA, SOCIETA’ E DEMOCRAZIA” con un richiamo agli effetti nefasti del nichilismo ponendo al centro della discussione la questione filosofico-amtropologica su cui verte il destino dell’umanità. “Il tema della famiglia in crisi -ha dichiarato- richiama l’ancor più profondo problema della crisi dell’uomo”, lasciando schiettamente intendere che ogni sforzo ed ogni tentativo ‘terapeutico’ di rafforzamento dell’Istituto famigliare non potrà che passare attraverso la presa di coscienza, a livello soggettivo e della collettività, dei rischi di autodistruzione che l’umanità corre qualora l’uomo -a causa dei ritmi di vita cui è giunto- perdurasse nel soffocare ogni sua espressività spirituale, linfa di altruismo e di umiltà nonché vero antidoto contro superbia ed egoismi. “Di norma -ha proseguito il Prof. Sotgiu– si tende ad associare la famiglia alla società civile, senza considerare che non stanno sullo stesso piano: la famiglia si situa ad un livello precedente, essa fa parte di una dimensione naturale” e -citando Pier Luigi Zampetti- ricorda che gli “obiettivi della società civile sono perciò complementari rispetto a quelli della famiglia”; giunge così alla conclusione che, se è vero come è vero, che il nucleo-famiglia è intrinsecamente naturale, ne consegue la sua appartenenza ad un Principio che è indipendente dall’uomo; un Principio che “è fuori del tempo” e che, in quanto tale, “proietta ben oltre i limiti soffocanti del nichilismo contemporaneo.” La famiglia dunque, per sua natura, sfugge alla leggerezza insostenibile del disimpegno nichilistico perché “rinvia a dei valori meta-temporali”. Se ciò costituisce motivo e ‘garanzia’ della sua irriducibilità, non può però lasciarci indifferenti difronte alle insidie di cui essa è oggetto da parte di certe correnti di pensiero (nichilismo, relativismo scettico ecc..) che tendono a diffondere lo scetticismo sulla proiezione meta-fisica dell’umanità istigando ogni uomo al “carpe diem”, ad approfittare cioè del momento presente e a deresponsabilizzarsi nei confronti delle generazioni future. Ed è proprio a questo proposito il riferimento del relatore alle conclusioni cui giunge il noto filosofo francese Jean Paul Sartre: “l’uomo è una passione inutile” . Ma “oggi -ha sottolineato Sotgiu– in tempi di nichilismo compiuto constatiamo che l’uomo stesso è inutile, sommerso e superato dalla tecnica da lui stesso evocata e -contemporaneamente- chiuso ad ogni prospettiva meta-temporale”. La necessità di una seria analisi filosofica di questa crisi, esplosa “in modo virulento” nel secolo scorso, è quindi -per Sotgiu– presupposto fondamentale che aiuterà la famiglia a recuperare il proprio ruolo di centralità nei confronti dell’organizzazione sociale.
Non si tratta, naturalmente, di impresa facile poiché necessiterebbe invertire la logica immanentista, oggi prevalente, che caratterizza il modello di vita proprio della modernità: il potere tecnologico, e l’uso che se ne fa di esso, è sottratto ai principi etici: l’uomo moderno, da protagonista nella ricerca di una propria emancipazione, è divenuto schiavo di se stesso. L’intenso ritmo di vita scandito nel corso di una giornata (ci si alza alle sette meno un quarto, si prende la metropolitana, si entra in ufficio dopo aver timbrato il cartellino, si esce per poi rientrare a casa stanchi senza neanche la voglia di parlare con chi ci sta a fianco) non può non indurci a chiederci chi noi siamo, da dove veniamo e dove andiamo. Da qualche tempo a questa parte si vive nel terrore di una catastrofe ecologica planetaria a causa delle crescenti difficoltà di limitare il processo di espansione industriale in atto (particolarmente nel continente asiatico); cresce, ad opera dei Paesi meno progrediti, la corsa agli armamenti nucleari; un pò ovunque nel globo pullulano i conflitti inter-etnici, strumentali allo sfruttamento di risorse naturali da parte dei Paesi occidentali: è una cultura che stenta a riconoscere il vero volto dell’uomo in ogni uomo.
Ma potrà l’uomo di oggi rinunciare alla modernità?
La relazione del Prof. Sotgiu indurrebbe il pigro interlocutore alla necessità di combattere la modernità; ha voluto invece ‘scuoterci’ circa la necessità di un corretto uso degli strumenti offerti dalla modernità in funzione esclusiva dell’uomo e non contro l’uomo medesimo.